lunedì 22 febbraio 2010

Il non attaccamento

Le qualificazioni dell’aspirante.
Il non attaccamento


Colui che è attaccato, accompagnato dal suo karman, va laddove la mente desiosa lo sospinge; una volta esaurito il karman, qualunque cosa abbia potuto compiere, da quel mondo, di nuovo, ritorna a questo mondo, all’azione. 

  Bŗhad-āraņyaka-upanişad


L’aspirante che s’addentra nei meandri della conoscenza del Sé, con l’iniziazione, alle dottrine orientali o occidentali che siano, intraprende un lungo, faticoso ed infinito viaggio. La letteratura iniziatica d’oriente e d’occidente, a cui facciamo riferimento, ci ammonisce come, tale viaggio, un percorso di vere e proprie prove iniziatiche, ben più che fisiche, simboliche e allegoriche, nell’essenza, cela l’arcano processo, fatto di ricerca, verifica e rettifica, atto ad individuare e rimuovere gli ostacoli che ostruiscono e rallentano il percorso di perfezionamento interiore. Un perfezionamento che è preparatorio e imprescindibile per giungere alla conquista, all’assimilazione coscienziale e all’identità con la Verità stessa. 


Il viaggio, dunque, è per la tradizione, un’azione rituale purificatoria che mira a liberare l’essere dal fardello della profanità. Per questo, ancora oggi, in molte società tradizionali, il pellegrinaggio ricopre un momento fondamentale e imprescindibile del percorso spirituale.
Sono indispensabili, per intraprendere il viaggio, particolari qualificazioni iniziatiche che solo il Maestro (Guru) è in grado di ri-conoscere nell’aspirante. Sono necessarie quelle qualità che permettano all’aspirante di superare gli ostacoli che inevitabilmente incontrerà lungo il sentiero: il coraggio affinché l’aspirante non abbia timore, non provi spavento, non tema d’essere scoperto nei propri difetti, rischiando così, prigioniero delle proprie illusioni, di non andare oltre, lungo il sentiero; la convinzione interiore e la forza d’animo affinché emergano le capacità intelligibili dell’aspirante; occorre vigilare e perseverare per essere purificati e uscire dall’abisso delle tenebre e giungere a vedere la Luce; è richiesta ancora la predisposizione ad intraprendere l’esperienza con libertà e purezza d’animo, liberi dalle distinzioni umane, dalle curiosità profane, senza dissimulare. Prima di ogni cosa, è necessario che l’aspirante ponga in se stesso un punto fermo e indissolubile, per tutto il percorso, un punto di partenza che è allo stesso tempo la meta del viaggio: la fede nell’Essere Supremo.


Queste sono le condizioni senza delle quali è impensabile procedere, le condizioni di cui deve essere provvisto il buon neofita che non persegue altro fine se non quello di “Emanciparsi dall’incubo delle passioni, cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male, essere un’immagine divina di questa realtà”, come recita Franco Battiato in “E ti vengo a Cercare”.
La qualificazione dell’aspirante culmina con un atto che all’apparenza sembra avere un significato morale ma che in realtà, nell’uomo “libero e di buoni costumi”, in possesso delle giuste qualificazioni dà vita al processo di realizzazione iniziatica che va ben oltre ogni possibile morale. Si tratta di quell’atto rituale che nella tradizione orientale è definito come non attaccamento, vairāgya o distacco che nella tradizione occiden-tale corrisponde all’abbandono dei metalli e la loro trasmutazione da piombo (materia bruta e informe), in oro, metallo sublime. Ne danno testimonianza l’alchimia, l’ermetismo e il simbolismo muratorio, ma anche il Tao, il Vedanta Advaita, il Sufismo, la Kabala. Si tratta insomma della trasformazione (abbandono) dell’ego/piombo in oro/pura coscienza. 


Tutte le Tradizioni iniziatiche raccomandano al viaggiatore, di percorrere la via della conoscenza senza pesi, senza zavorra, in piena libertà, libero da ogni condizionamento della vita profana. E’ innanzitutto con la rinuncia, che nell’aspirante s’innesca quel meccanismo che porta alla purificazione, alla liberazione dell’essere. Interessante è il suggerimento offerto dal Matto, tavola dei Tarocchi che non ha numero a voler significare l’assenza di sé in cui rantola l’illuso. Nell’icona il Matto è raffigurato con in spalla la zavorra e nell’atto di procedere lungo il viaggio, incespicando e rantolando nelle tenebre dell’ignoranza, in preda alle proiezioni illusorie della profanità, rappresentati dalla zavorra.
I metalli, gli attaccamenti, la zavorra che l’aspirante porta con sé, brillano, ammaliano e generano illusioni, sono l’effige di desideri e passioni, di pregiudizi e superstizioni, di idee preconcette e abitudini, del senso del possesso ed ogni altra forma di attaccamento, di tutto ciò che produce identificazione, con gli oggetti dei sensi e con quelli della mente proiettiva. Tutto ciò crea contrapposizione e separatività, protende l’essere nel regno della dualità, nel quale frenetica e incessante si svolge la lotta dei contrari.
Nei Versi Aurei, della scuola Pitagorica, s’individua nell’uomo la sorgente luminosa dell’Essere Puro che a causa degli attaccamenti resta latente sotto il velo delle illusioni. 

Tu imparerai che i mali, che affliggono gli uomini, sono il frutto della loro condotta, e che questi infelici cercano, lontano da sé quei beni dei quali essi sono la sorgente. Pochi sanno essere felici; soggiogati dalle passioni, volta a volta sballottati come da onde contrastantesi sopra un mare senza alcuna terra in vista, essi brancolano ciechi: senza poter resistere, ne cedere alla tempesta. Per Zeus! Voi li salvereste togliendo l’illusione dai loro occhi... Ma no, è compito dell’uomo creatura divina discernere l’errore e contemplare la Verità. La Natura mediante i suoi veli, ti spiega. Tu che li hai sollevati, uomo savio... sei in porto! Osserva le mie istruzioni... affinché, elevandoti poi nell’Etere radioso, Tu divenga immortale, spirito eterno, non più soggetto a morte.

Le tradizioni iniziatiche insegnano che i metalli, gli attaccamenti, per natura, nell’essenza, sono legati al divenire, al mondo dell’apparenza, all’impermanente, al perituro, al regno della dualità e della contrapposizione, e fintanto che l’essere resta vincolato a tali condizioni, finché non se ne distacca, finché non si libera, non può giungere alla fine del viaggio. I metalli, gli attaccamenti sono occasione di distrazione, deconcentrano la mente, ritardano e spesso escludono ogni possibilità di portare a termine il viaggio e raggiungere la meta: essere pura coscienza. E’ bene quindi che l’iniziato a mano a mano che procede verso i gradini più sublimi dell’iniziazione si liberi sempre più dai metalli.

Solo una mente pacificata e pura può risolversi nella pura coscienza.
Il percorso iniziatico tradizionale mette a disposizione del praticante tutta una serie di strumenti necessari a trasformare la coscienza e maturare e realizzare una consapevolezza superiore rispetto alla condizione di partenza: quella del profano. Il neofita nella prima parte del viaggio “deve” - è un imperativo - lavorare al non attaccamento, anche nei confronti della vita stessa, per un Valore Supremo. Il neofita, deve, insomma, essere pronto a mettere in discussione se stesso fino in fondo, costi quel che costi. 

L’uomo che vive senza attaccamenti, vale a dire senza essere schiavo degli eventi, delle cose, degli oggetti interni ed esterni alla mente, purificato dagli elementi, libero dai metalli, padrone del proprio karma, può sublimare la propria coscienza e raggiungere uno stato di maggiore consapevolezza dell’essere. Mano a mano che il Campo dell’esistenza viene sgombrato dal velo degli attaccamenti la vista dell’intelletto si amplia, diventa più profonda, impara ad andare oltre le apparenze, l’essere ne guadagna in consapevolezza.
L’iniziato intanto, come ogni uomo, non può esimersi dal vivere la sua condizione naturale. L’esperienza terrena dell’uomo si svolge proprio nel mondo della dualità. E’ da questa condizione, attraverso il supporto della tradizione, che l’iniziato mira ad emanciparsi attraverso la pratica del distacco. 


Ripensiamo alle parole di Kiplin:

Se tu sai forzare il tuo cuore i tuoi muscoli e nervi a servire, servire, servire al di là delle forze e così tener duro per quanto in te tutto è finito eccetto il Volere che dice: Resisti; ...Se tu sai sognare ma il sogno non è tuo padrone; ...Se tu sai pensare ma non fai del pensiero il tuo scopo; ...Se sai incontrare i due Vecchi Impostori, Trionfo e Disastro con animo uguale; ... Se ancora sai fare una posta di tutto il guadagno e rischiarlo con cuore sereno su un colpo di dadi e perdendo tornare da capo e mai più accennare a ciò che hai perduto; ... Se né i nemici né gli amici che ti amano hanno il potere di ferirti; ...Se tutti gli uomini contano per te ma nessuno conta per te troppo; ... sei Uomo...
 Da questi pensieri si comprende come Kipling fa riferimento alla dottrina del non attaccamento, quale strumento necessario per liberare e realizzare l’Uomo.

 Gli attaccamenti più subdoli, più insidiosi e pericolosi per il viandante, sono certamente quelli che derivano dalla mente, e che dalla mente si estendono al corpo, condizionandolo. Questi sono i pregiudizi e le superstizioni, ma anche e soprattutto le abitudini, il senso del mio e del tuo, l’attaccamento al frutto delle azioni, i sentimenti buoni e cattivi, come il dolore e il piacere, l’odio e l’amore. Viaggiare verso la liberazione dai metalli per realizzare il Sé Supremo è un lavoro arduo che non ha mai fine, nemmeno per il Realizzato.
Gli insegnamenti dei grandi saggi, dei grandi maestri illuminati, s’intersecano all’infinito al di là dal tempo e dallo spazio, attraversano le ere e i continenti, così come le tradizioni iniziatiche da cui tali insegnamenti sono scaturiti. Così i moniti e le istruzioni date dagli insegnamenti del Geometra di Samo, riecheggiano nelle meditazioni di Kipling. Gli esempi che la letteratura iniziatica ci ha lasciato in eredità sono tanti.


Di fondamentale importanza è stato l’apporto lasciato da Platone, in modo particolare con il Fedone in cui Socrate espone la dottrina metafisica dell’anima e il metodo del non attaccamento necessario a liberarla. Platone dedica la parte iniziale del dialogo all’esposizione della pratica del non attaccamento quale fondamento imprescindibile, per giungere alla realizzazione dell’Essere

Sembra che ci sia un sentiero – dice Socrate - che ci porta, mediante il ragionamento, diretta-mente a questa considerazione: fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungiamo mai in modo adeguato quello che ardentemente desideriamo, vale a dire la Verità. Infatti il corpo ci procura innumerevoli preoccupazioni per la necessità del nutrimento; e poi le malattie, quando ci piombano addosso, ci impediscono la ricerca dell’Essere. Inoltre, esso ci riempie di amori, di passioni, di paure, di fantasmi di ogni genere e di molte vanità, di guisa che, come suol dirsi, veramente, per colpa sua non ci è neppure possibile pensare in modo sicuro alcuna cosa. In effetti, guerre, tumulti e battaglie non sono prodotte da null’altro se non dal corpo e dalle sue passioni. Tutte le guerre si originano per brama di ricchezze, e le ricchezze noi dobbiamo di necessità procacciarcele a causa del corpo, in quanto siamo asserviti alla cura del corpo. E così noi non troviamo il tempo per occuparci della filosofia, ... E la cosa peggiore di tutte è che, se riusciamo ad avere dal corpo un momento di tregua e riusciamo a rivolgerci alla ricerca di qualche cosa, ecco che, improvvisamente, esso si caccia in mezzo alle nostre ricerche e, dovunque, provoca turbamento e confusione e ci stordisce, si che, per colpa sua, noi non possiamo vedere il vero. Risulta chiaro che, se vogliamo vedere qualcosa nella sua purezza, dobbiamo distaccarci dal corpo e guardare con la sola anima le cose in se medesime. Allora soltanto ci sarà dato di raggiungere ciò che vivamente desideriamo e di cui ci diciamo amanti, vale a dire la saggezza. ... Nel tempo in cui siamo in vita noi ci avvicineremo tanto più al sapere quanto meno avremo relazioni con il corpo, se non nella stretta misura in cui vi sia piena necessità, e non ci lasceremo contaminare dalla sua natura, ... e nel corpo ci manterremo puri, ... liberati dalla stoltezza...
Nel Bhagavad-gītā - poema sacro della tradizione hindū, risalente all’VIII secolo a.C. - Śrī Kŗşņa, istruisce Arjuna, il suo alter ego, alla scienza iniziatica dello Yoga. Lo Yoga è la via del ritorno, il percorso iniziatico che porta alla riunione col divino, che conduce l’essere dalla molteplicità della manifestazione all’Uno. Nella tradizione hindū vi sono tre vie yoga, dette anche mārga (percorso spirituale) e sono: il karma-yoga, la via del retto agire; bhakti-yoga, la via della devozione; jñāna-yoga - proprio del Vedānta - la via della conoscenza-consapevolezza.
Questa ultima, jñāna-mārga, conduce alla conoscenza della Realtà ultima consentendo all’uomo il mokşa, la liberazione in vita, la visione della Verità. I primi rudimenti impartiti all’aspirante, riguardano la pratica del non attaccamento, pratica che pur essendo necessaria agli esordi, non dovrà mai essere abbandonata, anche qualora si raggiungeranno le più alte vette della Conoscenza. Śrī Kŗşņa descrive come si esplica l’attaccamento agli oggetti esterni e passa dalla descrizione del meccanismo in funzione degli oggetti esterni e di quelli interni alla mente. 

  ...il contatto con i sensibili elementari procura le sensazioni di freddo e di caldo, di piacere e di dolore. ... accettale con pazienza: esse vanno e vengono, ma non durano. ... L’uomo saldo, che esse non turbano, o toro fra gli uomini, e che sopporta con animo uguale dolore e piacere, è un saggio pronto per l’immortalità. ... Considerando uguali piacere e dolore, profitto e perdita, vittoria e disfatta, raccogli le tue energie per il combattimento; così non patirai nessun male. ... Quella che ti ho ora esposto, è la saggezza sul piano speculativo; ascolta ora questa sag-gezza sul piano pratico; se ne farai uso, ti sbarazzerai dei legami dell’atto. ... In questa disciplina nessuno sforzo cominciato va perduto, nessun impedimento sopravviene; la pratica, di questa regola di vita ti salva da un grande pericolo. ... quaggiù l’intelligenza unificata è per sua natura propria alla decisione; in effetti coloro che mancano di decisione hanno una intelligenza dispersa e non hanno uno scopo determinato. ... Coloro che provano attaccamento per il godimento e per la potenza hanno il pensiero catturato da ciò; in loro l’intelligenza, benché per natura propria alla de-cisione, si mostra inadatta alla contemplazione equilibrata. ... Quando si rinuncia a tutti i desideri che turbano il cuore e la mente, ... quando si è appagati in se stessi e da se stessi, ecco quel che si dice “essere consolidato in saggezza”. ... La mente di un simile uomo non conosce apprensione nelle sofferenze; è libero da ogni attaccamento ai piaceri, affrancato dalla cupidigia, dal timore o dalla collera: tale è l’iniziato che si dice “saldo nell’Alto Pensiero”. ... E allorché tale uomo ritrae e raccoglie totalmente le sue facoltà sensoriali lontano dagli oggetti sensibili, come fa la tartaruga con le sue membra, è lui quegli che è consolidato in saggezza. ... Bisogna dunque padroneggiarli, raccogliendosi e mantenendosi nella disciplina ... Colui che tiene i sensi in suo potere, quegli è consolidato in saggezza. ... L’uomo accorda continuamente il suo pensiero agli oggetti dei sensi; ne consegue che s’attacca ad essi. Dall’attaccamento nasce allo stesso tempo il desiderio; al desiderio si aggiunge la collera. Dalla collera viene lo smarrimento completo. Dallo smarrimento, lo sconvolgimento della memoria; dal disordine della memoria, la rovina del giudizio e della decisione; dalla rovina del giudizio la perdita dell’uomo. Ma chi si muove fra gli oggetti sensibili, con le funzioni sensoriali sottratte all’amore come all’odio e tenute sotto il suo dominio, questi, anima disciplinata, accede alla serenità suprema. ... Perché, per la mente errante qua e là che segue la legge dei sensi, la loro foga prevale sulla saggezza, come fa il vento con una nave sulle acque. ... Ciascuno dei sensi prova un’attrazione o un’avversione immutabilmente determinata per questo o quell’oggetto sensibile; nessuno deve porsi in balia di questi due impulsi: perché essi sono le pietre d’inciampo sulla strada di tutti. ... Benché tenga in sacco le proprie facoltà d’azione colui che, restando immobile, evoca mentalmente gli oggetti sensibili, si dice a buon diritto che la sua anima si smarrisce e che la sua condotta è falsa. Ma colui che, padroneggiando i sensi mediante la mente, intraprende con distacco la disciplina dell’azione, mettendo in opera le proprie facoltà attive, quegli eccelle fra gli iniziati. ... Per lui, compiere una certa opera o aste-nersi da un’altra non ha più alcun senso né interesse personale. Fra tutti gli esseri nessuno gli serve da appoggio al suo Fine ultimo. ... E’ la cupidigia, è la collera, nate dal fattore passionale, il Grande Vorace, il Grande Malfattore. Sappi che in questo caso il nemico è lui. ... La conoscenza è velata da questo eterno nemico dell’anima conoscente, fuoco insaziabile che prende la forma del desiderio... ... Perciò in ciò che ti concerne, ... padroneggiando dapprima le tue facoltà sensibili, devi distruggere questo maligno, distruttore della scienza e della saggezza.
Il percorso iniziatico, quindi non è privo di ostacoli. Questo, infatti, si dimena lungo l’esperienza della vita quotidiana, con cui si condivide il vissuto. Quanti sono pronti a intraprendere un simile sentiero? Quanti sentono la necessità di uscire fuori dal vortice delle illusioni? Quanti lungo il sentiero sono disposti rendersi liberi da ogni identificazione, da titoli, prebende e orpelli di ogni sorta, dai riconoscimenti e dalle esclusioni? Quanti sono disposti a rinunciare a quanto già acquisito e consolidato dagli automatismi incon-sapevoli del quotidiano, demolirlo, sgombrare il Campo per costruire un nuovo essere consapevole di sé? Quanti si riconoscono aspiranti con le necessarie qualificazioni, anche tra quelli che hanno già intrapreso il cammino?
Il nostro proposito è quello di darci impegno, a iniziare e a proseguire il viaggio con devozione piena verso la ricerca della Verità, operando ad alleggerire la zavorra, individuale e collettiva, incessantemente, senza sosta, fino a divenire esseri universali, fino a realizzare il Sé Supremo, il Brahman, l’Assoluto.
 

Così recita la Kaivalya Upanişad:
Avendo realizzato <io sono Brahman >, si è liberati da ogni legame.


Giuseppe Vinci

Tratto da: Sé Metafisica Realizzativa - Risvista di Studi Tradizionali a cura del Centro Studi Tradizionali Sé - Autunno 2004

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