Ti do le chiavi per aprire le porte del Tempio; in Esso troverai il Fuoco rigeneratore che ti ingrandisce quanto il creato, la spada fiammeggiante per combattere le tenebre che ti costringono, la Verità suprema splendente e costante.
Raphael
Spesso nelle nostre riflessioni usiamo prendere in prestito il Vate, il poeta che più di ogni altro da circa un millennio rappresenta uno dei fari più luminosi lungo la Via Iniziatica. Anche in questo momento parafrasandolo e correndo il rischio di banalizzare l’intento, potremmo dire che “nel mezzo del cammin di nostra vita” l’esigenza del perfezionamento interiore ci ha condotti a bussare alle porte dell’iniziazione. E’ un po’, come dire , che riconosciamo, cioè prendiamo coscienza, ad un certo punto della nostra esperienza di vita, o almeno si presume che ciò sia avvenuto per chi s’addentra lungo la Via, di essere un’entità finita, limitata, imperfetta, soggetta a continuo mutamento. Ed è proprio questa precarietà la molla che ci spinge a questo viaggio: oggi, infatti, non siamo mai quelli di oggi stesso, ne in passato avremmo potuto vederci per quello che appariamo, ne domani riusciremo a vedere quello che siamo stati e che saremo.
Allora noi chi siamo, cosa siamo? In un certo modo, verrebbe da dire che siamo inafferrabili e nonostante la nostra condizione di limite, nonostante il nostro essere limitati permette di “definirci”, il nostro essere è un essere fuggevole, quindi indefinito. Siamo di continuo combattuti nel regno della dualità, tra bene e male, tra bello e brutto, tra giusto e ingiusto, tra essere questo e quello e così all’infinito a seconda dell’esperienza che compiamo, a seconda del tempo e dello spazio in cui viviamo. E’ come se fossimo una molteplicità di esseri, spesso in disaccordo tra loro e non solo lungo una ben scandita linea temporale ma a volte anche contemporaneamente come uno che soffre di personalità multiple o come un dissociato mentale, uno scizofrenico.
Se dovessimo descriverci altrimenti potremmo ben dire che la condizione umana è dibattuta continuamente tra finito e infinito, tra limite e illimite. Da esseri finiti quali siamo, tendiamo, per natural tenzone, perpetuamente all’infinito, all’assoluto, alla perfezione. Ma ne siamo sicuri o è solo una dolce illusione che appaga l’illuso? Pur se il cuore nutre questo desiderio la natura mutevole del nostro essere rappresenta di per se una forza contraria che ci decentra costringendoci a vivere una realtà periferica fatta di ombre, le quali a loro volta rappresentano la presunzione del loro essere a prescindere dal corpo e dalla luce che le proietta. La lotta dei contrari però non è un mero concetto filosofico.
Questa lotta, per l’uomo che ha preso coscienza di sé, è una lotta dura che si combatte sul Campo della propria vita, intrisa di difficoltà e di successi, di sofferenza e di gloria, di errori e di felicità, di soprusi e di amore.
Lungo quest’esperienza è la conoscenza (jñāna) lo strumento principe attraverso il quale l’iniziato tende alla perfezione. Ma la conoscenza di cui si parla, quella che ci conduce alla Verità, non è la conoscenza eruditiva, la conoscenza enciclopedica, quella storica e tanto meno quella scientifica, o letteraria, cioè quella che si apprende attraverso i libri, quella che si apprende nelle scuole o nelle università. Quest’ultima può essere solo il viatico, lo strumento ausiliario ma non per questo necessario, per giungere ad una conoscenza di natura superiore (paravidyā).
La conoscenza oggetto di ricerca degli iniziati è la conoscenza del Sé (vidyā – conoscenza introspettiva), partendo da quello individuale (ātman) per giungere a quello universale (Paramātman). Nelle librerie abbiamo la possibilità di trovare un mare quasi infinito di pubblicazioni, di tutti i tempi, circa ogni ordine e grado di conoscenza. Molti sono anche i testi che si occupano di questioni iniziatiche, ma badiamo bene che si tratta di solo “cultura iniziatica” e non di iniziazione vera e propria. E’ praticamente impossibile trovare libri che ci possano far vivere direttamente l’esperienza iniziatica. La cultura intesa come generalmente lo è in occidente, potrebbe anche allontanare l’individuo dallo spirito vero dell’iniziazione.
Ricordiamo le parole di Platone tratte dall’Apologia di Socrate:
... si da il caso che, in realtà sapiente sia il dio e che il suo oracolo voglia dire appunto questo, ossia che la sapienza umana ha poco o nessun valore.
L’esperienza iniziatica vera e propria è il viatico per la conoscenza di sé, per conquistare la Verità, per incamminarsi lungo il sentiero del perfezionamento interiore e giungere alla maestria: la piena padronanza e consapevolezza di sé. L’esperienza iniziatica ci permette di sondare la Verità, l’Essenza e la conoscenza che si guadagna è soprattutto “conoscenza catartica”, che porta alla trasformazione profonda della coscienza.
Essere maestri (guru – ācārya) dunque non significa avere una cultura da saccenti e primi della classe. Essere maestri significa realizzare uno stato di coscienza, una dignità che nessuna erudizione mentale e intellettuale potrà mai dare. La conoscenza iniziatica tradizionalmente, si trasmette da bocca a orecchio, da maestro ad allievo, (guruparamparam) ininterrottamente attraverso un complesso apparato rituale e simbolico, che si tramanda da tempo immemore e che costituisce la Tradizione Iniziatica. Questa è il luogo deputato agli iniziati, in cui è possibile affinare gli strumentiindividuali necessari alla trasmutazione del proprio essere e giungere alla liberazione (mokşa).
Il lavoro primario o meglio il “dovere primario” per accedere al Tempio del Sapere, per accedere alla Verità, è innanzitutto quello di prendere coscienza e di correggere i propri difetti, sempre presenti nelle nostre oscure e tenebrose caverne interiori. Questo lavoro è come un’incessante lotta sul Campo del nostro essere, fatta di ricerca e rettifica perpetua del nostro essere. Si tratta di sgomberare il Campo dai suoi nemici storici: l’egoismo e l’ambizione, la presunzione e l’orgoglio, i desideri e la vanità, vecchi figli, sempre vivi, dell’ignoranza e tale può essere anche la cultura.
“In noi vive un dio che può parlare solo in assenza di vanità, di orgoglio, di miseri interessi profani e solo in presenza di purezza di cuore.” (trevab)
Dunque, il lavoro iniziatici per dare i suoi frutti necessita impegno e dedizione, meglio, necessita di spirito di partecipazione, amore e devozione (bhakti) verso il nostro Essere, il Sé interiore, quel dio che resta silente perché avvolto dalle tenebre dell’- ignoranza (avidyā), dal velo del pregiudizio e della presunzione, dal manto degli attaccamenti, dalle illusioni (māyā) che appesantiscono, rallentano e spesso impediscono il cammino verso la luce dell’Essere Autorisplendente. La realizzazione comincia a dare i sui frutti a mano a mano che si lavora alla propria trasformazione affrontando la lotta più difficile che l’uomo abbia mai combattuto, quella contro le proprie passioni, contro il proprio ego conflittuale. Si tratta di un lavoro arduo che si svolge nel silenzio e nel segreto del nostro essere più intimo.
Gli attaccamenti della vita profana, il senso del possesso verso il denaro, verso gli oggetti dei sensi, i desideri e le ambizioni, le convinzioni, vanno abbandonati e tenuti perennemente sotto controllo ad ogni passo lungo il percorso, vanno definitivamente, progressivamente e incessantemente tenuti lontani da sé ad ogni attimo di vita vissuta.
Non sono le opere pie, le beneficenze e la partecipazione al dolore altrui che permettono di trasformare se stessi. Queste azioni, a volte, servono demagogicamente al momentaneo lavaggio della coscienza e non alla sua effettiva trasformazione. Queste, al contrario, divengono il corollario naturale e spontaneo per l’uomo, realizzato, libero delle nevrosi, frutto degli attaccamenti, dalle illusioni frutto dei desideri e delle ambizioni, e al di la delle apparenze frutto dell’essere che non sa essere.
Ebbene, solo l’uomo pudico, inteso nel senso più elevato del termine, cioè l’uomo che ha coscienza e consapevolezza realizzativi di sé, l’uomo che effettivamente partecipa delle trasmutazione del suo essere, può accedere ai gradini più alti dell’iniziazione e quindi ai segreti più recessi dell’Essere, all’Essenza Pura. Il lavoro iniziatico è, così, lavoro che, se svolto nel pieno rispetto della Tradizione, conduce di la del tempo e dello spazio alla conoscenza suprema.
Conoscenza quindi è Essere.
Questo è il principio d’identità della Realizzazione Iniziatica. Questa conoscenza và dunque realizzata, sperimentata direttamente, in prima persona. Si tratta cioè di sottoporsi ad una continua e incessante autodisciplina interiore (sadhana) facendo affidamento agli strumenti che la tradizione mette a disposizione. Non si tratta di conoscenza da memorizzare per farne sfoggio dialettico e retorico. Tutto ciò non può e non deve essere un diletto intellettuale fine a se stesso o per persuadere. Questa conoscenza deve costituire un modo di essere, uno stile di vita e non un mero apparire. Con l’esperienza iniziatica, l’Amante di Sophia, l’Advaitin, il Templare, il Fedele D’Amore, il Sufi, il Rosa+Croce, l’Alchimista, il Taoista, il Libero Muratore, realizza il Sé.
Tutte le tradizioni rappresentano nel loro patrimonio culturale tre fasi della Realizzazione.
Queste consistono in: un processo di discesa nel intimo di se stessi o penetrazione coscienziale, fase in cui avviene il riconoscimento e la purificazione del sé, alleggerito dalle proiezioni egoiche prodotte dall’io accentratore e autoreferenziale; da questo precedente momento preparatorio si passa allo stadio di assorbimento e assimilazione in cui si giunge ad essere conformi all’insegnamento tradizionale, fase che permette l’espansione della coscienza e questa ormai libera dalle false identificazioni, le illusioni dell’io e del mio si trasforma da coscienza individuale in coscienza universale; si giunge così alla fase di identificazione con la Verità. L’Essere, definitivamente libero (jīvan-mukta), divenuto Autorisplendente, è come un sole radioso in cui non vi è più distinzione alcuna tra luce, fuoco e materia ardente: è il Puro Sé. "Si diventa ciò che si pensa, questo è l’eterno mistero", recita la Maitry-upanişad, affermando il principio d’identità iniziatica.
Il lavoro iniziatico, dunque, nella sua essenza consiste nel, costante, incessante, ritmato e armonico lavoro di purificazione e sublimazione del sé. Si tratta di un continuo lavoro di liberazione dell’Essere puro che si nasconde sotto le scorie della mentalità profana, fino a condurre l’individuo dall’apparire, ovvero dal divenire, all’Essere, dalle tenebre alla Luce.
L’iniziazione, anche se per esigenza umana si pratica in comunità, è un’esperienza, unica e irripetibile, diretta e personale, intima e ineffabile. Non vi è altro modo per fare tale esperienza che quello di viverla in prima persona. Nessuno saprebbe descrivere razionalmente questa esperienza, se non come diceva Platone, attraverso discorsi probabili. Nessuno può sostituirsi a noi nella soluzione dell’eterno mistero.
Giuseppe Vinci
Nessun commento:
Posta un commento