“Della rosa fronzuta diventerò pellegrino ch’io l’aggio così perduta. Perduta non voglio che sia Ne di questo secolo gita, ma l’uomo, che l’ha in balia di tutte gioie l’ha partita.” (Federico II Imperatore)
La Rosa è uno dei più remoti e universali simboli iniziatici.
Per cogliere davvero il senso paradigmatico della Rosa è bene dimenticare il Medio Evo dipinto di nero, oggi tanto di moda, anche perché è in quest’epoca che tale simbolo ebbe la sua giù grande diffusione. La “Rosa”, se considerata dal punto di vista profano, si allontana fatalmente dal suo senso mistico e trascendente fino a perdersi, senza che se ne possa cogliere il senso più profondo.
Essa è il simbolo dell’anima che dopo il percorso di discesa, dopo aver abbandonato la zavorra accumulata nel mondo, si avvia alla risalita.
La Rosa è il simbolo dell’amore, dell’Amata - l’anima - e dell’Amante - l’Essere Supremo - desiderosi della mistica unione. E’ la piccola anima umana, parte infinitesima della Grande Anima, che cerca la via di ritorno alla “stanza” o Casa del Padre, dove avverrà la mistica unione.
L’immagine della stanza evoca le Nozze chimiche di Christian Rosenkreuz, che fa di questo fiore un simbolo universale.
L’Amore per la Rosa che sospinge l’amante alla mistica unione rappresenta e realizza l’annullamento di ogni dualità e contrapposizione u-mana e terrena. Gli opposti, i complementari svaniscono per sublimarsi nell’Uno al di là dell’Uno, nell’archetipo di platonica memoria.
Agli stilnovisti, ai Fedeli d’Amore, come anche ai poeti siciliani, a Federico II, la Rosa giunge da Oriente, da Soria. Per la tradizione arabo-orientale la rosa è il simbolo di un percorso metafisico realizzativo pratico, che mira alla trasformazione profonda della coscienza. Per i Sufi della Ba-gdad del XII sec. questo sentiero mistico era chiamato “Sebil-el-Uard” ov-vero la “Via della Rosa”.
In realtà la Rosa per l’occidente rinascimentale rappresenta un ritorno alle origini del cristianesimo iniziatico dei primi secoli, per il quale la Rosa è anche il simbolo del cuore. La ritroviamo, infatti, nei primi Rosa+Croce agli albori del medioevo e nei successivi Manifesti dei Rosa+Croce del ‘700, ma anche in tutti i mistici cristiani. La dottrina originaria indica la sovrapposizione della Rosa alla Croce quale mezzo per il raggiungimento dell’unione, stigmatizzata dal saluto della confraternita: “Possa una Rosa fiorire sulla tua Croce”.
La croce, intersezione delle due rette, orizzontale e verticale - simbolo degli opposti, dei complementari - centro segreto al di là del tempo e dello spazio, è sublimata dalla Rosa. In questo centro invisibile, metafisico, si realizza l’unione, l’armonia/trascendenza individuale, che con la sovrapposizione della Rosa si trasforma in armonia/trascendenza universale. Ma la via dell’Unione non è un percorso che possa compiersi impunemente o con facilità. Lungo il Sentiero Realizzativo l’amante desideroso dell’Unio Mystica deve dimostrare di avere coraggio, cuore puro e purezza d’intenti per poter accedere a questa conoscenza. Deve superare una serie di prove e ostacoli che sono propedeutici di una vera e propria disciplina iniziatica.
La “Via della Rosa” è, insomma, un percorso di disciplina interiore per domare e purificare la mente, poiché “solo una mente pacificata e pura può risolversi nella pura coscienza”.
Pur attraverso un simbolismo differente, nella “Gita” Krişna espone la stessa disciplina che conduce all’unione mistica:
“Nell’unione dello Yoga la libertà è sovrana; è la liberazione dall’oppressione del dolore. Questa disciplina deve essere seguita con fede, con animo fermo e coraggioso. ( … )
E’ vero, o Arjuna, che la mente e senza quiete e non è facile domar-la. Ma nella pratica costante e nel distacco dalle passioni, anche la mente può essere dominata. Quando la mente non è in armonia, è difficile realizzare questa unione divina, ma l’uomo la cui mente è pacificata la può realizzare, purché si dedichi con tenacia alla conoscenza”. (Bhagavad-GitaVI -23/35/36)
Per cogliere la Rosa nella sua essenza occorre uscire dal turbinio e dalla vanità della vita profana consapevoli, per gradus, che il prezzo dell’unione è il rischio di morire. Le figure e le immagini allegoriche che si trovano sul percorso, inoltre, confondono chi non sa penetrare il simbolo, deviandone il senso del percorso fino a smarrirlo in eterno, giacché dietro l’apparente amore profano si nasconde il ben più prezioso ed anzi inestimabile amore sacro.
Questo linguaggio trasparente solo in apparenza e i simboli a volte chiari e a volte oscuri sono invece, per coloro che si consacrano agli studi iniziatici, il viatico che conduce all’intelligenza delle cose divine.
Dice Plutarco: “Con questo procedimento noi possiamo tener testa a tanta gente grossolana … Il popolo, ascoltando tali cose, è soddisfatto e presta fede a tutto questo, perché desume plausibile direttamente dalle cose ovvie e familiari … In verità, costoro non differiscono per nulla da quelli che credono vele, gomene e ancora, né più né meno che il pilota stesso; ovvero ordito e trama né più né meno che lo stesso tessitore …”.
Nel Roman de la Rose, poema provenzale di Guillaume de Lorris della metà del ‘200, fra l’amante e la Rosa si frappongono una serie di ostacoli, figure e immagini allegoriche che ne deviano e rallentano il percorso: così le dieci orrende figure sul muro del Giardino, i danzatori della carola, il dio d’Amore con le frecce dalle opposte potenze e i suoi comandamenti, Pericolo, Gelosia, la fonte, Narciso, il castello e l’alta torre costruita sulla roccia viva ... Contro tutto ciò deve combattere il desideroso d’Amore che brama di poter cogliere il tenero bocciolo al termine del percorso e godere della sua Bellezza. Ecco l’innamorato del “Roman de la Rose” al termine della sua ricerca una volta conquistata la Rosa:
“Mi parve allora d’esser caduto
in paradiso dall’inferno orrendo …
… E si slanciava il fiore
verso l’alto, ed io fui lieto
nel non vederlo ancora così aperto
da disvelare il cuore,
anzi, che quello era ancor chiuso
entro i petali della rosa
che si levavan dritti verso il cielo
avvolti attorno al loro profondo centro:
da tale velo occultato
il seme era difeso dagli sguardi.
Era la rosa Dio la benedica!
così innalzata, assai più bella
di quanto fosse prima, e più vermiglia.
Ed io venni rapito in meraviglia
innanzi a tanta nuova leggiadrìa
nella sua pània Amore mi lega,
sempre più forte, indissolubilmente
mentre a me pare d’averne sempre più piacere”.
Come Beatrice per Dante, così per Guillaume de Lorris la Rosa è il simbolo della Sapienza Santa, della pura conoscenza intellettuale a cui l’iniziato perviene dopo aver sgombrato l’anima dalle sozzure della vita animale, fino a far cadere il velo che oscura la vista dell’occhio interiore. Nella Divina Commedia, infatti, Dante giunge al Paradiso passando per la Rosa Mistica, che rappresenta quindi il passaggio o meglio la transizione, il trascendimento necessario all’uomo per giungere al perfezionamento finale.
Il simbolo erotico della Rosa, ancora, è analogo al simbolo cavalleresco e religioso del Graal, poiché la Rosa è simbolo dell’amore spirituale e della massima elevazione della conoscenza intellettiva, di quella completezza e perfezione che gli stilnovisti chiamarono Intelletto d’Amore. Raggiungere e possedere la Rosa equivale quindi a raggiungere e a ottenere il fine ultimo della Ricerca, in quanto l’Amore è annullamento della dualità.
Per gli Alchimisti è la “rossa pietra filosofale”: il Magistero, nella Lingua Alata, che permette di trasformare il vile metallo in Oro e di contemplare il Creatore in ogni particella dell’universo. Sì, perché gli esseri sono il segno vivente del Creatore e il cammino iniziatico è il percorso che permette di svelare negli esseri la Luce Divina.
La Rosa e il suo linguaggio simbolico hanno perenne validità. Essi non si fondano sulla storia e sulle apparenze come sulla vanità, non necessitano di falsi orpelli, ma provengono dalla Tradizione Sacra, metastorica e metafisica, alla quale hanno attinto tutti i popoli: così per la letteratura cortese e cavalleresca dell’Islam dei Sufi, del Medio Evo cristiano e dei Tantra indù.
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