“Quindi diede incarico agli scalpellini perché squadrassero le pietre per la costruzione del tempio”
“Ora io ho costruito una casa sublime, un luogo ove tu possa porre per sempre la dimora”
Cronache: I, 22, 2; II, 6,2.
L’iniziazione spesso è detta Arte Reale, perché attraverso l’esercizio dell’Arte, il praticante ha la possibilità di “realizzare” la Grande Opera di alchemica memoria: trasformare il piombo dell’esistenza profana nell’oro dell’essere puro; realizzare se stessi. Non si tratta del “sentirsi realizzati nella vita” attraverso il posto di lavoro.
Non vuol dire poter realizzare progetti di vita per guadagnare tanti soldi, comprare l’automobile, la casa, fare viaggi, insomma, essere benestante. La realizzazione di cui si parla, sappiamo benissimo, è ben altra cosa. Si tratta in realtà, di pervenire attraverso un percorso a tappe alla conoscenza della natura ultima dell’esistenza, alla conoscenza del Sé. In breve, usando il linguaggio proprio dell’Arte Reale, realizzarsi significa prendere piena e totale coscienza e consapevolezza della propria esistenza, divenire Re e sovrani di se stessi, fino a trascendersi nella coscienza assoluta.
A tal proposito ricordiamo che tutte la Tradizioni Iniziatiche, dicono che il sé, quello individuale – individuale solo all’apparenza – è simile e partecipa del Sé Supremo, è la parte infinitesimale di Quello.
A questa consapevolezza sono approdati i Grandi Iniziati, i Saggi, i Ŗşi dell’India, attraverso la profonda indagine dell’esistenza. Intuirono, in definitiva, che al di sopra di tutto vi è una legge, la Lex Suprema dei latini, il Sanathana Dharma, la Legge Universale degli hindū. Ananke la chiamavano i greci, la legge unica e necessaria a cui tutto sottende, anche la stessa divinità, che tiene saldamente insieme ciò che è manifesto e ciò che non lo è: legge immanente e trascendente al tempo stesso. E’ la conoscenza di questa legge che, dicono i saggi, permette di scoprire il mistero dell’esistenza, permette di essere padroni dell’Arte Reale e realizzare il Sé.
L’Arte Reale è la metafora del Sacro, della Coscienza Universale e l’opera dell’artista consiste nel rendere solenne testimonianza, “celebrare” la visione del divino e delle sue leggi.
Nella storia dell’umanità diverse sono state le forme attraverso le quali questa sublime arte
si è manifestata. Spesso, l’oriente e l’occidente hanno condiviso la stessa arte in epoche differenti e con culture diverse, conservando però nell’essenza gli stessi principi.
L’alchimia, l’ermetismo, la poesia d’amore, il racconto mitologico, gli hadîth, i detti proverbiali, i koan dello zen, l’arte di costruire i templi, sono spesso manifestazioni dell’Arte presenti sia in occidente che in oriente.
L’arte di cui ci occupiamo in questa occasione è quella del costruire templi.
“Questo Tempio è come il cosmo in tutte le sue parti” era il proclama che dominava nel Tempio egizio di Ramses II.
Nell’accezione primitiva il Tempio, dal latino “templum”, indicava quella porzione di campo consacrato dall’àugure destinato agli uffici sacri e quindi luogo sacro. “Templum” è derivato di “Tempus” che vuol dire “sezione”, ed è riconducibile al greco “Tèmenos”, recinto, circuito, luogo separato, dedicato agli dei, contenente la radice tèm e la desinenza no, che significa taglio, separo, divido quindi l’alto dal basso, il superiore dall’inferiore, il sacro dal profano.
L’arte del costruire è quindi arte sacra e allude alla creazione divina, al dio che per un atto libero, pur entrando nel limite del tempo e dello spazio, passando dall’infinito al finito, si manifesta dando vita al cosmo. Costringendosi nel limite l’Assoluto viene all’esistenza. L’opera dell’artista, pertanto necessita di sacrificio e disciplina, virtù che gli permettono di riscattare il limite in cui l’umanità, espressione infinitesimale dell’assoluto, è venuta a trovarsi con la venuta all’esistenza. L’artista nella realizzazione dell’opera, svolge una sacra funzione, imitando la divinità nel suo manifestarsi, lavorando la pietra grezza, adornandola ed elevando le pareti del Tempio: trasforma la materia inerte e caotica, in materia armonica, il caos primordiale, in ordine, cosmo.
In questa ottica il maestro d’arte svolge una vera e propria funzione sacerdotale. Prima di apprestarsi all’esecuzione dell’opera, l’artista si dedicava alla preparazione spirituale: l’invocazione della divinità, la meditazione dei testi sacri, l’interiorizzazione fino alla visione della verità da realizzare.
Nella tradizione orientale, l’architetto che sovrintende alla costruzione del tempio, ma anche le maestrie che prestano l’opera, appartengono quasi sempre alla più alta casta della società, quella dei brāhmaņa, custodi della conoscenza sacra. In quella occidentale, l’artista esecutore dell’opera è iniziato ai segreti dell’arte, segreti che rivengono dal sacerdozio egizio, dai misteri d’Eleusi, dalla scienza pitagorica ed euclidea.
L’arte di lavorare la pietra si prefigge la trasmutazione di ciò che è profano, la pietra grezza, nel mistico corpo del dio. Così il Tempio, realizzato secondo i segreti dell’arte, diventa un incarnazione divina, un avatāra, ovvero la discesa del dio in terra a riprodurre e ristabilire il dharma, l’ordine universale.
Le conoscenze matematiche, geometriche e astronomiche utilizzate per la costruzione dei templi, che per gli egizi, per i pitagorici, per i Templari e per la Massoneria rappresentano il segreto iniziatico, sono la sintesi suprema con cui poter esprimere i diversi aspetti della Verità Ultima e gli strumenti per “realizzarla”.
L’architetto, il maestro d’arte, l’operaio muratore, insomma l’iniziato, riproduce nelle forme che fa assumere alla pietra l’essenza ineffabile del Principio Supremo. L’arte del costruire diventa così un cammino di ascesa che passa, prima, attraverso le fondamenta dell’edificio, simbolo dell’abisso della psiche umana, fino ad elevarsi alla dimensione celeste dell’essere intelligibile.
Il tempio che allo zenit ha molteplici appoggi per le fondamenta, al nadir termina con il punto unico, il pinnacolo, a significare il passaggio, il ricongiungimento della molteplicità degli esseri all’Essere Uno. Vi è un asse principale nella estensione verticale del tempio che va dalle fondamenta al pinnacolo, e rappresenta l’axis mundi, misura e ordine del tutto, l’asse simbolico attorno al quale si manifesta l’armonia universale. L’asse dei modi è il raccordo tra il sacro e profano; è l’albero della conoscenza che si esplica nei tre mondi: gli inferi, il mondo intermedio, quello degli uomini e il regno celeste; è la sintesi del percorso ascendente della ricerca spirituale.
Nella sua estensione orizzontale, il tempio, manifesta l’ordine cosmico a partire dalle oscure e profonde fondamenta, ove è imprigionato il vizio, l’ignoranza, fino alle stratificazioni successive, in cui si esplicano le Virtù della conoscenza. A parte le fondamenta di cui abbiamo già detto, troviamo, nel livello più basso, a seconda delle culture, il quadrato o il rettangolo, simbolo della terra, il livello più infimo della manifestazione divina, rappresentato generalmente oltre che dalla pianta dell’edificio anche dall’altare, luogo su cui si celebra il sacro rito dell’esistenza, evocandola, poiché l’altare si eleva dal piano.
Recita il Ŗc. Veda:
L’altare è il limite estremo della terra; questo nostro sacrificio è il centro del mondo.
Il livello successivo, la cupola, generalmente rappresentato in cerchio (sostituito in occidente con l’Arte Gotica dalla forma piramidale, simbolo del fuoco divino) è il simbolo del cielo, l’etere, lo spazio, il regno dell’Assoluto, da cui l’Essere Immutabile ed Eterno, la Legge Suprema, proietta la sua potenza. Il cerchio, la cupola la sfera, rappresentano, così, l’Assoluto, la “Verità” da raggiungere, da portare in sé, come afferma Parmenide nel poema “Intorno alla Natura”.
... bisogna che tu impari/ a conoscere ogni cosa/sia l’animo inconcusso della ben rotonda Verità/sia le opinioni dei mortali nelle quali non risiede legittima credibilità.
Parafrasando il linguaggio alchemico potremmo paragonare la costruzione del Tempio alla “quadratura del cerchio” essendo quest’ultimo, il cerchio, il limite da trascendere,
da violare. Questa particolare “quadratura del cerchio” rappresenta, in questo modo, il ciclo incessante di emanazione e riassorbimento dell’universo: il solve et coagula degli alchimisti; il molteplice che risolve nell’Uno e Quello che si manifesta nel molteplice. Il vuoto che resta tra i due livelli è il simbolo dell’Assoluto, ineffabile, imperscrutabile. Il vuoto, non è assenza ma potenza allo stato embrionale, non manifesto.
La funzione principale del vuoto, è quella di produrre il silenzio. Vuoto e silenzio diventano analoghi, esprimono l’essere in-potenza. Nei templi, infatti, la presenza del silenzio è la prima manifestazione divina percepibile sia all’iniziato, sia al profano. Nel silenzio è in nuce il Verbo prima della sua manifestazione. E’ il perfetto simbolo della dimensione insondabile, per chi non è ammesso alla conoscenza dei segreti dell’arte. L’Artista è quindi in grado, poiché ha gli strumenti per farlo, di cogliere il Verbo che promana dalla pietra purificata, perfettamente lavorata.
Il Tempio, dunque, è la casa del Signore, Sommo Architetto dell’Universo, e dei suoi operai; è il luogo in cui il Verbo s’è fatto carne; è il luogo metafisico e metastorico, al di la del tempo e dello spazio, in cui è riprodotto in modo speculare l’Assoluto; è il luogo materiale in cui si manifesta l’immateriale; è il luogo non-luogo in cui regna armonico l’Uno, spirito-materia; il luogo in cui si trascende ogni dualità, in cui il diabolon, ciò che è stato separato torna ad essere symbolon, il ri-unito.
Giuseppe Vinci 20. 09. 2004
Estratto da: Sé Metafisica Realizzativa - Risvista di Studi Tradizionali - Autunno 2004